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Milano, 8 giugno 2025 – Elodie debutta a San Siro con il suo primo grande concerto in uno stadio. Un evento attesissimo, discusso, annunciato tra polemiche e incertezze sulla capienza, che si è rivelato una tappa di svolta per la carriera della cantante romana. Tra scenografie spettacolari, ospiti queer, provocazioni politiche e qualche errore tecnico non imputabile all’artista, “The Stadium Show” ha mostrato tanto – e anche qualche fragilità.
Lo spettacolo si è sviluppato in quattro capitoli tematici – Audace, Galattica, Erotica, Magnetica – con oltre 35 brani in scaletta. A legare le sezioni, monologhi preregistrati scritti in chiave teatrale, che delineano le diverse anime dell’artista. Tra le performance, spiccano le coreografie acquatiche iniziali e l’imponente palco avvolto da una vela luminosa, che ha trasformato San Siro in un’arena scenografica.
Ad affiancare Elodie sul palco sono intervenuti nomi di peso. Achille Lauro ha infiammato “Folle Città” e “Rolls Royce” con la sua consueta teatralità. Gianna Nannini ha offerto una versione intensa e vocale di “America”, che ha emozionato anche i più scettici. Gaia ha chiuso con leggerezza e intesa vocale in “Ciclone” e “Chiamo Io Chiami Tu”.
Discorso diverso per Nina Kraviz, incaricata di un DJ set elettronico durante l’atto Galattica. Il segmento, seppur ambizioso nell’intento di spezzare la linearità del concerto, ha finito per interrompere il flusso energetico costruito fino a quel punto. L’eccessiva durata, unita a una proposta musicale troppo fredda e aliena per il contesto, ha in parte spento l’entusiasmo dello stadio. Kraviz, pur dotata di talento, non è sembrata in grado di reggere un palco del genere in quel preciso momento narrativo.
Il cuore dello spettacolo non è stato solo musicale. L’anima politica di Elodie ha preso forma attraverso performance cariche di simbolismo queer e messaggi espliciti. Durante “Andromeda” è salita sul palco Ambrosia, drag queen di fama nazionale, per un bacio performativo che ha strappato applausi e acceso il significato del brano. In “Elle” e “Ascendente” la narrazione corporea ha toccato l’estetica del voguing, riportando la club culture queer su un palco mainstream.
Tra i momenti più d’impatto, “Purple in the Sky” ha acceso i ledwall con una scritta netta: “Free Palestine”, affiancata da una bandiera stilizzata. Un gesto potente, che ha provocato un boato, qualche fischio isolato, ma soprattutto ha segnato in modo inequivocabile la scelta di posizionarsi, anche politicamente, in un contesto internazionale difficile. Il tutto senza spiegazioni aggiuntive, lasciando che le immagini parlassero da sole.
A chiudere il concerto, “Bagno a Mezzanotte”, durante la quale Elodie ha sventolato la stessa bandiera palestinese, per poi avvolgersi completamente in essa, congedandosi dal pubblico in un gesto simbolico fortissimo e chiaro: un atto finale che ha unito arte, corpo e impegno.
Nonostante l’energia e l’impatto visivo dello show, il comparto audio ha mostrato limiti noti e imprevisti nuovi. I bassi eccessivi e una gestione poco equilibrata del mix hanno reso la voce impastata in diverse aree dello stadio, specie nei settori superiori. Un problema storico di San Siro, che da anni soffre di riverberi incontrollabili e ritardi nella propagazione del suono: non è una questione di artisti, ma di struttura.
A complicare ulteriormente le cose, un imprevisto tecnico ha coinvolto Elodie durante “Tutta Colpa Mia”. L’artista, visibilmente disorientata, ha interrotto l’esibizione e chiesto l’intervento del team tecnico, scusandosi con il pubblico. “Non ho sentito nulla in cuffia, ho cantato senza ritorno… ho fatto bene?”, ha chiesto con una sincerità che ha colpito. L’ammissione di fragilità, unita all’onestà del momento, ha generato un moto di empatia immediato. Il pubblico ha reagito con calore, confortandola e applaudendo con forza: un episodio che, paradossalmente, ha umanizzato ancora di più la sua figura.
Tra i 35 brani eseguiti, sono stati inclusi “Tribale”, “Guaranà”, “La Coda del Diavolo”, “Andromeda”, “Due”, “Bagno a Mezzanotte”, “Vertigine”, “Purple in the Sky”, “Tutta Colpa Mia”, “A Fari Spenti”, “OK Respira” e numerosi mash-up dance e cover. Il concerto ha unito le sue hit più note a reinterpretazioni in chiave elettronica ed estetica pop-club.
Non tutto è stato perfetto. Le transizioni narrative, a volte, risultano macchinose; il DJ set di Nina Kraviz troppo lungo e fuori fuoco; l’interazione con il pubblico ridotta al minimo fino a metà concerto. Ma Elodie ha mostrato una cosa rara nel pop italiano: la capacità di trasformare un palco immenso in uno spazio espressivo, personale e politico. Ha sbagliato, si è fermata, ha chiesto scusa, ha ballato, ha baciato, ha parlato con il corpo. Ha portato in scena un’idea.
“The Stadium Show” non è stato un concerto qualunque. È stato un esperimento ad alto rischio, pieno di visione e spigoli. Elodie non ha cercato la perfezione, ma un’identità. E in uno stadio pieno di aspettative e limiti tecnici, ha scelto di mettersi in gioco in ogni senso: fisico, vocale, politico, emotivo. Una prova di forza e di coraggio. Con errori? Sì. Ma anche con la lucidità di chi sa che la musica, oggi, passa anche per la verità. Anche quando stona.
Scritto da: Admin
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